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Diffamazione sui social network: come proteggersi

Da tempo la giurisprudenza prevalente considera la pubblicazione di contenuti offensivi su Facebook o su altri social network (Twitter, Instagram, Youtube, ecc.) una forma diffamatoria di comunicazione con più persone (si pensi, ad esempio, ad un post oltraggioso pubblicato sulla bacheca di Facebook o a un commento inappropriato su una chat di un gruppo WhatsApp) per la quale è prevista la stessa pena del reato di diffamazione a mezzo stampa. Cosa si può fare per proteggersi da tale fattispecie di reato?

 

Il reato di diffamazione online

La diffamazione online, così come prevista dall’articolo 595 del codice penale, può configurarsi anche quando il messaggio lesivo dell’altrui reputazione viene diffuso attraverso i social network. Anzi, in tale ipotesi si configura anche la circostanza aggravante dell’uso di un mezzo di pubblicità nella propagazione di un contenuto che può risultare offensivo nei confronti di un’altra persona, il che determina un consistente aumento della pena a carico di colui che ha trasgredito. I social network vengono infatti equiparati dalla prevalente giurisprudenza ad un mezzo di pubblicità in quanto capaci di raggiungere un numero incalcolabile o comunque quantitativamente apprezzabile di persone.

Di conseguenza, colui che, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione sui social network può essere punito con la reclusione da sei mesi a tre anni o una multa di almeno 516 euro. Stesso rischio per chi si è limitato a premere il pulsante Mi piace, aderendo così al commento offensivo. Inoltre, il diffamatore può essere condannato a risarcire sia i danni patrimoniali (perdite subite, mancato guadagno) sia non patrimoniali (danno morale, danno all’immagine, ecc.). Quando poi le offese sfociano in condotte di istigazione all’odio razziale o religioso potrà essere contestato anche il reato di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa, ai sensi dell’art. 604 bis.

 

La complessa individuazione dell’autore del reato

Non si può negare che tale nuova fattispecie di reato faccia sorgere criticità prima sconosciute, in particolare in merito all’individuazione dell’autore del reato. Mentre, infatti, non ci sono particolari problematiche nell’identificare la vittima di diffamazione, atteso che non è necessario che questa sia stata identificata per nome e cognome, a patto che emerga la piena individuabilità dell’offeso attraverso altri elementi indiziari, lo stesso non può dirsi per quanto riguarda l’identificazione del trasgressore visto che l’account dal quale è stato scritto il contenuto offensivo potrebbe essere stato hackerato o usato da altri.

A tal proposito, la giurisprudenza ha stabilito in più occasioni che senza l’accertamento da parte delle autorità inquirenti dell’indirizzo IP del dispositivo dal quale è stato pubblicato il contenuto che offende la reputazione non potrà scattare la condanna per il reato di diffamazione aggravata.

 

Diffamazione online: come tutelarsi

La diffamazione online, oltre ad avere rilevanza penale, è di rilievo civilistico. Il destinatario delle offese può infatti optare unicamente per l’azione civile o per quella penale, oppure scegliere di sporgere formale querela e agire civilmente mediante un autonomo giudizio.

Entrando nel dettaglio, chi ritiene di essere vittima di attacchi diffamatori sui social network può rivolgersi a Consulenza Legale Italia (consulenzalegaleitalia.it), studio legale con sedi a Padova e Milano che mette a disposizione dei clienti, siano essi privati o imprese, professionisti di alto livello capaci di intervenire in modo efficace nella risoluzione dei problemi e di fornire una consulenza legale online professionale e approfondita, attraverso i principali canali di comunicazione moderni.

Nel caso di specie, la persona offesa potrà, personalmente o tramite un avvocato, denunciare il comportamento ritenuto illecito presso le autorità (procura, polizia, carabinieri o altro ufficio delle forze dell’ordine) entro il termine di tre mesi dai fatti di reato, avendo l’accortezza di munirsi di documentazione comprovante l’offesa, onde evitare che risulti poi difficile dimostrare l’esistenza del post o delle comunicazioni diffamatorie. Una volta avviato il procedimento penale, la vittima potrà anche costituirsi parte civile, per ottenere il risarcimento dei danni subiti in seguito alla diffamazione. In alternativa, la vittima può agire soltanto civilmente, senza sporgere querela, chiedendo il risarcimento dei danni e avviando, prima della causa civile, un procedimento d’urgenza di cui all’art. 700 c.p.c. volto a bloccare la circolazione online del contenuto illecito.